Nello svolgimento della propria attività professionale, il commercialista deve provvedere a segnalare alla UIF (Unità di Informazione Finanziaria per l'Italia) la sussistenza di condotte sospette da parte di un cliente.
Nel caso di specie, si trattava di prelievi di contanti, plurimi e consistenti, effettuati da più conti correnti bancari, in un breve arco temporale da parte di una società cliente del commercialista. Dalle risultanze delle ispezioni effettuate dalla Guardia di Finanza era infatti emerso che la Società «acquistava la merce (materiale ferroso) da privati, senza fatturazione, e quindi in maniera “non tracciabile”, e che i residui ferrosi apparentemente acquistati venissero ceduti (la venditrice emetteva fatture di vendita) a una società acquirente, che probabilmente svolgeva il ruolo della cd. “cartiera”» alla luce del fatto che, come affermato dallo stesso Commercialista, la stessa società commise «il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l'utilizzo di documenti per operazioni inesistenti».
Il MEF, a fronte della mancata segnalazione, aveva sanzionato il commercialista con una multa di oltre 600mila euro per violazione delle disposizioni di cui all'art. 3, legge n. 197 del 1991, e di cui all'art. 41, D.Lgs. n. 231 del 2007.
Il commercialista ha impugnato la sanzione dinanzi ai giudici. Dopo il rigetto da parte del Tribunale, la Corte d’Appello ha annullato l’ordinanza ingiunzione del MEF affermando che «pur preso atto della ampiezza contenuta dei tempi delle operazioni e delle modalità oggettive con cui esse sono state poste in essere, l'ulteriore circostanza della rivendita della merce ferrosa mediante regolare fattura e il pagamento mediante assegni bancari dimostra l'assenza di elementi che potessero anche minimamente fare sospettare la provenienza illecita del denaro e, quindi, imporre al commercialista una particolare attenzione ed un sospetto meritevole di segnalazione anche per gli elevati importi delle cessioni».
La decisione è però stata ribaltata dalla Cassazione che ha accolto il ricorso del MEF.
La legge prevede infatti l’obbligo di segnalazione, introdotto inizialmente dalla L. 197/1991 esclusivamente nei confronti degli intermediari finanziari, e poi esteso anche ai professionisti dal D.Lgs. 56/2004, in vigore dall'aprile 2006.
Inoltre, il 12 gennaio 2001 la Banca d'Italia aveva aggiornato le “Istruzioni operative per l'individuazione delle operazioni sospette” per gli intermediari vigilati, indicando nella parte relativa agli Indici di anomalia rilevanti ai fini dell'individuazione delle operazioni sospette, il fatto di porre in essere «frequenti operazioni per importi di poco inferiori al limite di registrazione, soprattutto se effettuate in contante […], laddove non giustificate dall'attività svolta dal cliente», nonché «il prelevamento di ingenti somme».
Infine, il decreto legislativo n. 231/2007 precisa che, ai fini dell'individuazione delle operazioni da segnalare all'UIF, «il sospetto è desunto dalle caratteristiche, entità, natura dell'operazione o da qualsivoglia altra circostanza conosciuta in ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell'attività svolta dal soggetto cui è riferita, in base agli elementi a disposizione dei segnalanti, acquisiti nell'ambito dell'attività svolta ovvero a seguito del conferimento di un incarico».
Così ricostruito il quadro normativo, la Cassazione ha escluso ogni dubbio sulla sussistenza, nella vicenda in esame, di sintomi evidenti di abnormità del modus operandi della società. Il commercialista era dunque obbligato a segnalare le operazioni formalmente anomale all'autorità amministrativa a ciò preposta, per consentirle di verificare se il ricorso frequente e ingiustificato al contante fosse o meno finalizzato ad eludere le disposizioni dirette a prevenire e punire l'attività di riciclaggio e (dal 2008) l'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo. (Cass. civ., 22 gennaio 2024, n. 2129)