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Breve sintesi della sentenza della Corte Costituzionale, 11.01.2021, n. 1.
Con tale provvedimento, la Corte Costituzionale ha chiarito come sia pienamente legittima la possibilità, per la vittima dei reati di maltrattamenti, stalking e violenza sessuale e per gli altri previsti dall’art. 76, comma 4-ter, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, di ottenere l’ammissione al patrocinio a spese dello stato a prescindere dai limiti di reddito.
Invero, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Tivoli aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 76, comma 4-ter, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui, secondo l’interpretazione della Corte di cassazione assurta a “diritto vivente”, dispone l’ammissione automatica – a prescindere dai limiti di reddito di cui al precedente comma l – al patrocinio a spese dello Stato delle persone offese dai reati di cui agli artt. 572, 583-bis, 609-bis, 609-quater, 609-octies e 612-bis, nonché, ove commessi in danno di minori, dai reati di cui agli artt. 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-quinquies e 609-undecies del codice penale.
Orbene, rispondendo ai dubbi espressi dal rimettente, la Corte ha specificato che la scelta normativa rientra «nella piena discrezionalità del legislatore e non appare né irragionevole né lesiva del principio di parità di trattamento, considerata la vulnerabilità delle vittime dei reati indicati dalla norma medesima oltre che le esigenze di garantire al massimo il venire alla luce di tali reati».
In particolare, i Giudici Costituzionali hanno constatato come negli ultimi anni sia maturata una maggiore sensibilità culturale e giuridica in materia di violenza contro le donne ed i minori e, pertanto, sia stato dato grande spazio a provvedimenti e misure tesi a garantire una risposta più efficace verso i reati contro la libertà e l’autodeterminazione sessuale, considerati di crescente allarme sociale. E tali considerazioni hanno di fatto spinto ad «approntare un sistema più efficace per sostenere le vittime, agevolandone il coinvolgimento nell’emersione e nell’accertamento delle condotte penalmente rilevanti».
La Corte ha chiarito ancora che «la ratio della disciplina in esame è rinvenibile in una precisa scelta di indirizzo politico-criminale che ha l’obiettivo di offrire un concreto sostegno alla persona offesa, la cui vulnerabilità è accentuata dalla particolare natura dei reati di cui è vittima, e a incoraggiarla a denunciare e a partecipare attivamente al percorso di emersione della verità. Valutazione che appare del tutto ragionevole e frutto di un non arbitrario esercizio della propria discrezionalità da parte del legislatore».
Pertanto, dopo aver constatato che nel nostro ordinamento vi sono già altre ipotesi in cui il legislatore ha previsto l’ammissione a tale beneficio a prescindere dalla situazione di non abbienza nonchè dopo ulteriori riflessioni sulla fondatezza delle argomentazioni espresse nell’ordinanza di rimessione, la Corte Costituzionale ha concluso dichiarando infondata «la questione di legittimità costituzionale dell’art. 76, comma 4-ter, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui determina l’automatica ammissione al patrocinio a spese dello Stato della persona offesa dai reati indicati nella norma medesima, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24, terzo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Tivoli».
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