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La separazione non fa venir meno il rapporto di coniugio.
L’aggravante prevista dall’art. 577 c.p. (cd. rapporto di coniugio) si applica anche nel caso in cui l’aggressione di un coniuge verso l’altro si verifichi durante la separazione legale, poichè quest’ultima non determina lo scioglimento del matrimonio.
Questo, in sintesi, quanto affermato dalla recente sentenza della Corte di Cassazione, sez. V, 15 gennaio 2020, n. 13273, che, uniformandosi ad un consolidato indirizzo giurisprudenziale, ha chiarito come la separazione legale tra i coniugi, pur attenuando il complesso degli obblighi nascenti dal matrimonio con l’eliminazione di quello relativo alla coabitazione, tuttavia non faccia venir meno lo “status” di coniuge, con i corrispondenti obblighi personali e permanenti che lo costituiscono.
In particolare, la Suprema Corte ha chiarito che l'operatività di tale circostanza aggravante speciale, di natura soggettiva, prevista dall’art. 577 c.p., non si pone in contrasto con la Costituzione ma, al contrario, ne rafforza i principi.
Trattandosi di un reato abituale, si può configurare solo se vi siano una serie di fatti commissivi od omissivi.
A ricordarlo è la sentenza della Corte di Cassazione, sez. VI, 11.05.2020, n. 14417. In tale pronuncia, infatti, viene ribadito il noto indirizzo interpretativo secondo cui il reato previsto dall'art. 572 c.p. (maltrattamenti contro familiari e conviventi) può ritenersi sussistente solo nel caso in cui gli episodi siano reiterati nel tempo e siano collegati da un nesso di abitualità. Qualora intercorra un notevole periodo tra una serie di episodi e l'altra ovvero la serie reiterativa sia interrotta da una sentenza di condanna può configurarsi anche la continuazione ex art. 81, comma 2, c.p..
Inoltre, la sentenza in commento richiama anche il principio, affermato dalle Sezioni Unite, secondo cui le dichiarazioni della persona offesa, previa verifica della sua credibilità soggettiva e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, possono anche da sole fondare la condanna dell'imputato. Tale aspetto, risulta particolarmente importante se si considera che il reato di maltrattamenti spesso si consuma nel contesto chiuso e riservato delle mura domestiche.
Sono assimilabili alle assicurazioni sulla vita, pertanto possono essere oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla successiva confisca
Questo è quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con sentenza emessa da Sez. III, 6 maggio 2020, n. 13660, nella quale si evidenzia che i fondi pensione, pur essendo strumenti finanziari aventi una finalità riconducibile al genus previdenziale, tuttavia si contraddistinguono per due aspetti significativi.
Innanzitutto le somme necessarie per la loro alimentazione non sono immediatamente ricollegabili alla nozione di corrispettivo di rapporto lavorativo oggetto di accantonamento (neppure nel caso in cui essi siano stati versati, almeno in parte, dallo stesso datore di lavoro per conto dei propri dipendenti, cfr.: Corte di cassazione, Sezioni unite civili, 9 marzo 2015, n. 4684), perché esse possono essere versate dal soggetto anche se le relative provviste non siano rivenienti dallo svolgimento di un’attività lavorativa.
In secondo luogo, la Corte osserva che proprio la loro qualificazione come “strumenti per la previdenza complementare”, induce ad escludere che «essi vadano a integrare, arricchendolo e non costituendolo, quel nucleo essenziale di prestazioni che è soggetto a espressa garanzia di intangibilità sia sotto il profilo civile che sotto quello penale».
La Corte, dunque, perviene alla conclusione che i “fondi pensione” siano assimilabili alle assicurazioni sulla vita sia con riguardo alla fase di accumulo della provvista monetaria che alla successiva fase di erogazione della periodica prestazione pecuniaria.
Pertanto, considerata la giurisprudenza precedente, che aveva riconosciuto la possibilità di disporre il sequestro preventivo su una polizza assicurativa sulla vita, la Cassazione conclude dichiarando l'applicabilità di tale misura cautelare anche alle somme di danaro confluite nei “fondi pensione”.
Avv. Saverio Di Lernia
Periodi di tranquillità e dichiarazioni di affetto non sono sufficienti ad eliminare la lesività delle condotte maltrattanti rivolte al genitore.
Così la Corte di Cassazione, sez. VI, 6 maggio 2020, n. 13699 che, con riguardo al caso di un soggetto che, con ricorrenti condotte abusanti, quali aggressioni fisiche e verbali nonché danneggiamento di mobilio e suppellettili, aveva ingenerato nell’anziana madre un triste stato di prostrazione, ha colto l’occasione per ricordare alcuni aspetti importanti nell’interpretazione del delitto di cui all’art. 572 c.p.
Difatti, ha chiarito come l’abitualità delle condotte, richiesta dalla predetta norma, possa anche implicare che gli atti vessatori, cagionanti sofferenze fisiche o morali, siano realizzati in momenti successivi e non necessariamente per un tempo prolungato, non rilevando che vi siano anche periodi di ricomposizione o di normalità dei rapporti con la vittima.
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