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Breve sintesi della sentenza del 25.11.2020 n. 248 della Corte Costituzionale.
Con la sentenza in oggetto, la Corte Costituzionale ha chiarito che il regime di procedibilità d’ufficio, previsto per il reato di lesioni personali stradali gravi o gravissime ex art. 590 bis c.p., non configura un’ipotesi di manifesta irragionevolezza e, pertanto, non può essere considerato incostituzionale.
Difatti, riscontrando le tre ordinanze di rimessione eseguite dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Treviso, dal Tribunale di Milano e dal Tribunale di Pisa, la Corte coglie l’occasione per chiarire come la precisa scelta, contenuta nella legge 41/2016, di non prevedere la procedibilità a querela neanche per le ipotesi più lievi previste dal primo comma del predetto articolo (in cui il reato può essere commesso non solo dal conducente di un veicolo a motore ma anche, ad esempio, da chi circoli sulla strada a bordo di una bicicletta e che hanno per presupposto la violazione di qualsiasi norma relativa alla circolazione stradale), si iscriveva nel quadro di un complessivo intervento volto ad inasprire il trattamento sanzionatorio per questa tipologia di reati, ritenuti di particolare allarme sociale a fronte dell’elevato numero di vittime di incidenti che ricorre ogni anno sulle strade italiane (cfr. sentenze n. 223 e n. 88 del 2019).
Per contro, meditando su quanto osservato da uno dei giudici rimettenti circa la possibile esistenza di una disparità di trattamento tra le lesioni stradali -procedibili d’ufficio- e le lesioni provocate nell’ambito dell’attività sanitaria -procedibili a querela- , ha affermato che tale ultimo ambito è stato «recentemente oggetto di ripetuti interventi da parte del legislatore miranti proprio a delimitare l’ambito della responsabilità degli operatori sanitari rispetto ai criteri applicabili alla generalità dei reati colposi, onde contenere i rischi necessariamente connessi all’esercizio di una professione essenziale per la tutela della vita e della salute dei pazienti ed evitare, così, il ben noto fenomeno della cosiddetta “medicina difensiva”, produttivo di inutili sprechi di risorse pubbliche e scarsamente funzionale rispetto agli stessi scopi di tutela della salute».
Tuttavia, la Corte Costituzionale, pur ritenendo legittima la scelta operata dal legislatore, conclude sollecitando quest’ultimo a prendere in considerazione i profili critici segnalati con le ordinanze di rimessione che, in ogni caso, suggeriscono l’esigenza di una complessiva rimeditazione sulla congruità dell’attuale regime di procedibilità per le diverse ipotesi di reato contemplate dall’art. 590-bis cod. pen.
Breve sintesi della sentenza della Corte Costituzionale, 11.01.2021, n. 1.
Con tale provvedimento, la Corte Costituzionale ha chiarito come sia pienamente legittima la possibilità, per la vittima dei reati di maltrattamenti, stalking e violenza sessuale e per gli altri previsti dall’art. 76, comma 4-ter, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, di ottenere l’ammissione al patrocinio a spese dello stato a prescindere dai limiti di reddito.
Invero, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Tivoli aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 76, comma 4-ter, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui, secondo l’interpretazione della Corte di cassazione assurta a “diritto vivente”, dispone l’ammissione automatica – a prescindere dai limiti di reddito di cui al precedente comma l – al patrocinio a spese dello Stato delle persone offese dai reati di cui agli artt. 572, 583-bis, 609-bis, 609-quater, 609-octies e 612-bis, nonché, ove commessi in danno di minori, dai reati di cui agli artt. 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-quinquies e 609-undecies del codice penale.
Orbene, rispondendo ai dubbi espressi dal rimettente, la Corte ha specificato che la scelta normativa rientra «nella piena discrezionalità del legislatore e non appare né irragionevole né lesiva del principio di parità di trattamento, considerata la vulnerabilità delle vittime dei reati indicati dalla norma medesima oltre che le esigenze di garantire al massimo il venire alla luce di tali reati».
In particolare, i Giudici Costituzionali hanno constatato come negli ultimi anni sia maturata una maggiore sensibilità culturale e giuridica in materia di violenza contro le donne ed i minori e, pertanto, sia stato dato grande spazio a provvedimenti e misure tesi a garantire una risposta più efficace verso i reati contro la libertà e l’autodeterminazione sessuale, considerati di crescente allarme sociale. E tali considerazioni hanno di fatto spinto ad «approntare un sistema più efficace per sostenere le vittime, agevolandone il coinvolgimento nell’emersione e nell’accertamento delle condotte penalmente rilevanti».
La Corte ha chiarito ancora che «la ratio della disciplina in esame è rinvenibile in una precisa scelta di indirizzo politico-criminale che ha l’obiettivo di offrire un concreto sostegno alla persona offesa, la cui vulnerabilità è accentuata dalla particolare natura dei reati di cui è vittima, e a incoraggiarla a denunciare e a partecipare attivamente al percorso di emersione della verità. Valutazione che appare del tutto ragionevole e frutto di un non arbitrario esercizio della propria discrezionalità da parte del legislatore».
Pertanto, dopo aver constatato che nel nostro ordinamento vi sono già altre ipotesi in cui il legislatore ha previsto l’ammissione a tale beneficio a prescindere dalla situazione di non abbienza nonchè dopo ulteriori riflessioni sulla fondatezza delle argomentazioni espresse nell’ordinanza di rimessione, la Corte Costituzionale ha concluso dichiarando infondata «la questione di legittimità costituzionale dell’art. 76, comma 4-ter, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui determina l’automatica ammissione al patrocinio a spese dello Stato della persona offesa dai reati indicati nella norma medesima, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24, terzo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Tivoli».
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